Chi ha a cuore la democrazia ha esultato alla vittoria di Joe Biden alle elezioni presidenziali degli Stati Uniti.
Noi esultiamo doppiamente, perché per la prima volta una donna, di colore e figlia di immigrati, diventa vice-presidente degli Stati Uniti: Kamala Harris.
“La prima donna, ma non l’ultima”, dice Kamala Harris nel suo primo discorso dopo la vittoria.
Un discorso appassionato, che ricorda le lotte delle donne per il diritto al voto. Soprattutto le lotte per i diritti delle donne nere, troppo spesso ignorate per questioni razziali dal cosiddetto “femminismo bianco”.
Le donne di colore sono invece per la Harris un’ “asse portante” della società statunitense.
Ora che è una donna di colore ad aver infranto la barriera dei vertici politici statunitensi non ci dovranno essere più scuse per non conoscere, per non includere. Ovvero, la distinzione fra “femministe bianche” e “femministe di colore” dovrà cessare di esistere. Dovrà farsi strada una concezione di femminismo più unito e inclusivo delle molteplici diversità: che siano esse diversità di etnia, provenienza o orientamento sessuale.
Per questo l’elezione di Kamala Harris è un traguardo storico, non solo per gli Stati Uniti, ma per tutte le donne di qualsiasi provenienza.
Non possiamo che augurarle “Buon lavoro, vicepresidente!”

Evviva. Ricordo Meryl Streep, quattro anni fa, appoggiando Hillary, disse: Sarà la prima, prima di molte (first of many). Adesso “La prima donna, ma non l’ultima”. Emozionante.
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