Donne in vista

9 Domande ad Alba D’Urbano. 2° Parte

4.

La mostra “Die Bessere Hälfte“ (traduzione letterale: La metà migliore) è stata la prima mostra tenuta a Lipsia e impostata esclusivamente sulle figure femminili che hanno studiato all’Accademia di Lipsia.

Ritieni che sia stata una mostra necessaria e importante? Ha avuto delle conseguenze sul pubblico il riscoprire tante artiste importanti e fino ad allora poco conosciute? C’è stato un miglioramento nel mondo dell’arte per le donne?

Vedo questa mostra non come una causa ma come un effetto di quanto detto sopra, cioè come una conseguenza su piano locale di fenomeni globali più diffusi, messi in moto dai movimenti femministi negli ultimi anni. Fenomeni che, in campo artistico, stanno dando il via alla riscoperta e all’inserimento di figure femminili nelle narrative della storia dell’arte.

Sicuramente si tratta di una mostra importante a livello locale. È servita a dimostrare che la pittura a Lipsia non è solo “maschio”. A dimostrare che c’era molto ancora da dire, molto di non detto, nelle narrative ufficiali che fino a quel momento avevano descritto la scena di Lipsia dal dopoguerra fino al 2015 come un universo artistico punteggiato quasi esclusivamente di “stelle” dai nomi maschili, specialmente nel suo momento di maggiore successo internazionale.

L’unica carenza della mostra è stata secondo me la sua mono-medialità, se così si può dire. Il suo privilegiare la pittura rispetto ad altri linguaggi artistici. Un atteggiamento che segue le tracce d’una tendenza dominate nella scena artistica lipsiense, che tende ad identificare l’arte con la sola pittura, generando di conseguenza forme d’esclusione verso coloro che usano altri linguaggi mediali. Questo, per quello che riguarda temi attinenti a questioni di genere, comporta lacune significative, visto che la diffusione dell’uso di linguaggi mediali non “tradizionali” è stata trainante per lo sviluppo dell’arte delle donne a partire dagli anni Settanta in poi. Tecniche e forme di comunicazione come quelle dell’illustrazione, della fotografia, del video, dalla performance, dell’istallazione o dell’intervenzione sono state impiegate d’allora sia a livello politico sia in campo artistico, per mettere in moto forme di denuncia, di riappropriazione e di riscoperta del corpo.

Con la mostra “Disturbance”, curata da me e da Olga Vostretsova nello stesso luogo due anni dopo, abbiamo privilegiato l’idea di focalizzare l’attenzione su un aspetto tematico circoscritto e ben definito che ci permettesse di allargare il campo di ricerca. L’intento era quello di dare una lettura in chiave femminista del cosiddetto “disturbo”, della “deviazione” e del “diverso” attraverso la presentazione di un ampio spettro di riflessioni artistiche sul tema. In questo modo abbiamo potuto presentare una serie di figure artistiche contemporanee che si esprimono attraverso diversi linguaggi audio-visuali.  La scelta curatoriale abbracciava diverse generazioni, che provenivano da vari contesti culturali anche al di fuori di quello di Lipsia.

La mostra mirava a decostruire i miti e le costruzioni sociali che generano discriminazioni di genere. Il focus era posto sul non-normativo, sul sovversivo e subculturale e sui mondi visivi creati dall’arte per sovvertire il regime egemonico dello sguardo.

5.

Il lobbismo maschile esiste da sempre in tutti i campi. Anche nel mondo dell’arte.

Esiste un lobbismo nel mondo dell’arte al femminile?

Questa è una domanda a cui mi rimane difficile rispondere, visto che non so e non mi sento di poter dire qualcosa su come lavorano altre colleghe nel campo dell’arte, siano esse artiste, galleriste, curatrici, o storiche dell’arte. So di non sapere, o almeno di non saperne abbastanza, anche perché le Lobbies lavorano in segreto.

Sostanzialmente non mi sembra che le ramificazioni di contatti e di solidarietà che ci sono fra donne possano essere definite in questi termini. Per lobbismo si intende un sistema reticolare di attività di alcuni gruppi d’élite – lobbies – che attraverso contatti, appoggi, appannaggi e corruzione sono in grado, pur non sempre detenendo “ufficialmente” il potere politico, di influenzare chi lo esercita. Il lobbysmo è dalla parte di chi detiene il potere e che lo esercita dall’alto verso il basso. I gruppi di donne, che nel mondo occidentale (e non solo) per millenni sono state escluse dal potere politico e che da poco più di un secolo lo reclamano pubblicamente, stringendo contatti fra di loro e sostenendosi reciprocamente, agiscono in modo inverso: loro esercitano una pressione dal basso verso l’alto, contro il potere dominante. In questo caso parlerei forse di “sorellaggio” e non di lobbysmo.

6.

Ci sono state delle donne (e uomini) che vuoi ricordare che ti hanno ispirato e aiutato per arrivare ad essere oggi la donna che sei come artista? 

Mia madre e mio padre, mio fratello, la mia famiglia d’origine naturalmente e il mio compagno Nicolas Reichelt (che non mi piace chiamare marito, perché è molto più di tutto quello che si può intendere con questa parola un po’ antiquata) … E poi gli amici e le amiche, soprattutto Alessandro Cipriani, con cui ho condiviso una gran parte del mio sviluppo personale e artistico, e, tra molti altri, Paola Tavani, Andreas Otto e Lothar Augustin, che hanno diviso con me sia le esperienze di attivismo politico che quelle fatte in campo culturale e sperimentale. Oltre a loro è stato fondamentale lo scambio con le colleghe, soprattutto artiste, con alcune delle quali ho avuto la fortuna di poter collaborare per anni. Persone come Tina Bara, Dagmar Varady e Charly Steiger. Curatrici e Galleriste come Ute Meta Bauer, Anita Beckers, Giuliana Stella, Stefania Miscetti e Olga Vostretsova.

Importanti sono stati anche i rapporti con i miei collaboratori e colleghi d’università come Michael Ohme, Franz Alken, Bernhard Shipper, Tiill Exit, Diana Wesser e Fumi Kato. E i miei studenti, che purtroppo in questa sede non posso nominare tutti perché la lista sarebbe troppo lunga. Desidero comunque citare quelli che mi hanno supportato nei progetti e nel lavoro con la classe durante gli anni come Carolin Weinert, Jana Seehusen, Marlene Morgenstern, Christina Werner, Johanna Maxl, Jakub Simcik, Guillermo Fiallo Montero, Bernhard Bormann, Laura Derr, Lennard Becker e Steph Joyce etc.  La fiducia che mi hanno dato, ci ha fatto crescere insieme e i progetti fatti collettivamente hanno generato esperienze formative comuni. Il rapporto con loro mi ha dato la possibilità di instaurare un dialogo con il futuro. Ai miei professori in Italia e in Germania debbo moltissimo sia in relazione alla formazione artistica che rispetto allo sviluppo del mio pensiero. Loro sono stati fondamentali per stabilire un contatto con il passato, talvolta un passato recente: da Peter Weibel a Wolfgang Ramsbott, a Laura Savi e soprattutto a Enzo Brunori, che mi ha fatto aprire gli occhi al mondo dell’arte e alla sua dimensione etica e politica. I lunghi dialoghi con lui sono stati determinanti per la mia formazione.

Quell’ ”io” di “adesso”, l’Alba di ora, è il frutto temporaneo di tutti questi incontri.

7.

Quali sono le donne nel mondo dell’arte di cui secondo te si dovrebbe parlare oggi?

Quelle che si ribellano e che si sono ribellate, quelle che fanno resistenza, che non sempre sono le più conosciute.

8.

Qual è il tuo prossimo progetto?

Veramente sono diversi. Ho appena finito di lavorare come docente alla HGB e ho moltissime idee e molti progetti interrotti che non sono riuscita a completare durante gli ultimi anni di lavoro da docente. In questo momento sto completando un video iniziato un anno fa che si chiama „Berührung: con_tatto“. È il secondo video creato durante l’isolamento nel periodo di Corona. Come per il primo lavoro fatto in questo periodo, “„Körperliche Unkörperlichkeit: Berührung“, la riflessione parte dalle teorie di Jean-Luc Nancy sul tatto, focalizzando l’attenzione sull’ambivalenza del bisogno umano di contatto, di possesso.

Desiderio, impossessamento, distruzione… Un paradigma che può divorare tutto in modo indifferenziato: mondo umano, animale, vegetale, terra… L’opera si riferisce all’interazione dell’uomo con il suo ambiente, ma anche con sé stesso inteso come “l’altro”. Ha a che fare con l’amore, ma anche con la caducità, la fragilità e la bellezza.

La frase “Ciascuno uccide ciò che ama” dalla poesia “The Ballad of Reading Goal” di Oscar Wilde appare ripetutamente come testo – in qualche modo modificato – in tre lingue diverse (italiano/tedesco/inglese) e dà il “beat” all’azione performativa minimalista.

9.

Che cosa consiglieresti alle donne che volessero seguire la tua carriera nel mondo dell’arte e magari anche in quello accademico?

Di non accontentarsi.

* un luogo dotato di diversi teatri di posa modulabili e configurabili, che offre la possibilità di lavorare con media sia tradizionali che digitali, dalla fotografia alle immagini in movimento, dalla produzione alla post-produzione.

Grazie ad Alba D’ Urbano a cui auguriamo un buon proseguimento per i suoi prossimi progetti.

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