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“Ida Magli ci ha insegnato a saper vedere” – Il ricordo di Isabella Moroni

Ida Magli

Ida Magli l’ho conosciuta in uno dei periodi più duri per l’Italia. Anni di stragi e di vuoto della politica. Fuori c’era paura, ma una paura diversa da quella “guidata” di oggi: i media non arrivavano così capillarmente, c’erano le radio libere a riequilibrare l’informazione e le persone che non sapevano cosa dire, tacevano.

Questo accadeva fuori, ma quando si entrava nell’Aula 1 di Lettere all’Università “La Sapienza” di Roma, all’ora della lezione di Ida Magli, tutto svaniva. Entravamo, infatti, in un mondo di scoperte, di stupori, di “pugni nello stomaco”, di “rivoluzione”.

E non quella rivoluzione fatta di guerra (il più delle volte condivisibile) che ci attendeva fuori, ma una rivoluzione che intuivamo essere l’unica che avrebbe portato ad un vero cambiamento; una rivoluzione fatta di conoscenza, ma soprattutto di possibilità di concepire il pensiero in maniera completamente diversa. Nuove categorie mentali, scoperta degli stereotipi, delle contraddizioni, tracciati di libertà fino ad allora mai intuite.

Ida Magli è stata soprattutto una scienziata. È stata la prima (e non ha mai smesso) ad analizzare la storia ed il mondo in cui viviamo con l’approccio antropologico. A diffidare dell’uso inconsapevole della simbologia.
Usando i simboli senza conoscerne il significato, si viene usate”, diceva ricordando, ad esempio, il senso dell’anello nuziale, legame e legaccio al contempo, o del cerchio che componevano le femministe con i loro girotondi.
Non era facile comprendere, uscire fuori dalle proprie certezze, mettersi in forse così apertamente, ma chi ci riusciva aveva la percezione del mondo attorno completamente mutata, capiva che le conquiste sociali, senza la trasformazione dei simboli, sarebbero state inutili, si sarebbero perse. Soprattutto quelle che coinvolgevano le donne.

E così è stato. Basti vedere cosa è rimasto, dopo meno di mezzo secolo, dell’immensa conquista della Legge 194 sull’autodeterminazione della donna relativamente alla procreazione.

Alle donne chiedeva consapevolezza.
Lo ha chiesto con tutti i suoi libri, lo ha chiesto mettendoci in guardia dal far conto sui legami biologici che ci costringono in ruoli che sono prigioni, ed affermando che “per costruire un legame che sia in grado di produrre il passaggio di memoria è necessario andare oltre la propria realtà fisica e sessuale”.

Parole che difficilmente possono essere comprese oggi, ma che non significano: smettete di fare figli, ma semplicemente perseguite l’emancipazione –  raggiunta solo parzialmente da alcune donne in Occidente e per nulla da milioni di altre nell’intero mondo – , andate nella stessa direzione in cui va evolvendosi  la cultura, cercate di essere presenti nei luoghi dove si costruisce il sapere “per continuare il lungo cammino necessario a modificare le strutture stesse del sapere”.

Ida Magli è stata la mia professoressa e la professoressa di centinaia di donne fino agli anni ‘80. Da lei abbiamo tutte imparato a guardare ogni cosa con infinita libertà, a non dare mai nulla per scontato, a cercare motivi e conferme. Lei mi ha fatto scoprire che la cultura non è quell’entità irraggiungibile che grava sugli esseri umani e potrebbe anche schiacciarli, ma un elemento che ci pervade e ci avvolge, che può essere scomposta, analizzata, resa amica e navigata.

E in questo modo ha sempre affrontato le tematiche che la storia le proponeva. Leggo ovunque che risultava dura e tagliente, io la ricordo piccolina, accogliente e dialettica.
Leggo che negli ultimi anni ha avuto una deriva di destra e che questo non è scusabile; leggo frasi estrapolate ad arte dai media e fatte rimbalzare su tutti i canali di comunicazione di cui oggi disponiamo (ah, quanto rimpiango le radio libere!) fino ad arrivare nelle mani di chi non ha accesso a quel sapere che pure avrebbe dovuto pervaderci.
Ma in realtà ha solo guardato la cultura con gli occhi della scienziata.

Ida Magli anche negli ultimi anni ha analizzato il mondo da un punto di vista antropologico e non sociale. Ho quasi la certezza che parlando e scrivendo pubblicamente non abbia mai fatto una dichiarazione personale, ma si sia sempre attenuta alla sua ricerca. Anche quando ha parlato in maniera difficile da comprendere di quelle categorie sociali che proteggiamo ed enfatizziamo, non sempre per giustizia ed eguaglianza.
Solo guardando con occhi liberati dal pensiero globale, riuscendo a fare i giusti  distinguo possiamo tranquillamente leggere quei suoi ultimi interventi –  che, visti in un altro modo, potrebbero sembrare solo deliri.

È questo che ci ha insegnato Ida Magli: saper vedere. All’epoca uno dei nostri slogan più cari era il personale è politico. Con questo intendevamo dire  che bisognava affrontare la polis con la stessa cura e coinvolgimento con cui affrontavamo il nostro privato, perché si trattava di un bene fondamentale e inalienabile.
Poi questo pensiero si è modificato. Nessuno riesce più a separare il pubblico dal privato, la complessità e la diversificazione non sembrano avere cittadinanza, si tende a puntare ad un unico concetto al quale si può soltanto aderire o essere contro. Eppure si tratta sempre di un concetto creato dalla cultura, di un concetto che risponde a necessità o mode raramente spontanee, anche se all’apparenza sembrano scaturire dal basso.
Ovvero di un concetto simbolico che rappresenta, forse, un pensiero collettivo, ma che in realtà proviene da altrove.

Ida Magli era scomoda, era attenta, andava  a caccia delle immagini simboliche nascoste ovunque, perché sapeva che lì  si annidano i nemici, non solo delle donne alle quali ha sempre offerto strumenti per combattere, ma anche dell’evoluzione della cultura.

Perché nessuno, in realtà, può mai davvero tornare indietro.

 

di Isabella Moroni

 

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